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Archiviazione digitale al via per Federazione e Collegi Ipasvi

Vademecum sulla dematerializzazione a uso dei Collegi provinciali messo a punto dalla Commissione della Federazione nazionale e illustrato nella giornata sul tema organizzata a Roma. Ipasvi Dematerializzazione al via per Federazione e Collegi Ipasvi La Federazione nazionale Ipasvi e i Collegi provinciali si dematerializzano e danno il via a un processo che offre la possibilità di archiviare digitalmente tutta la documentazione relativa all’iscritto attraverso sistema organizzato a cartelle legate alla posizione del singolo, che lo segue nei trasferimenti da un Collegio all’altro. Lo stesso archivio digitale è disponibile per la consultazione dai singoli iscritti all’interno della intranet personale alla quale, già oggi, l’iscritto può accedere e che può essere collegata ai portali web dei Collegi Provinciali. Per questo, il Gruppo Dematerializzazione costituito presso la Federazione nazionale, ha lavorato per proporre l’avvio completo del processo (in parte già attivato in passato con la PEC, il protocollo digitale, la fatturazione elettronica, l’albo unico nazionale) attraverso la generazione e la gestione del fascicolo dell’iscritto direttamente in formato digitale. L’Albo Unico Nazionale gestito dalla FNC IPASVI (AUN) mette a disposizione una serie di funzionalità che aiutano a ridurre la carta e si proiettano verso la sua completa dismissione, anche per i Collegi che presentano maggiori difficoltà nel condurre questo percorso autonomamente. La generazione del fascicolo personale avviene tramite un form di preiscrizione on-line collegato a AUN, compilato direttamente dalla persona che richiede l’iscrizione all’Albo. In questa prima fase e fino all’implementazione di un sistema di identificazione digitale (ad esempio, Sistema Unico di Identità Digitale – SPID), alla registrazione seguirà una fase di perfezionamento in ufficio, dove le informazioni inserite e tutto il materiale prodotto verranno registrate ed immagazzinate direttamente nella scheda personale AUN e inserite all’interno del proprio fascicolo digitale. Tutte le funzioni, compresa la possibilità di attivare il pagamento on-line delle quote, sono già presenti o in fase di implementazione in AUN e sono ispirate ai principi dell’innovazione e della semplicità d’uso dei sistemi informatici e sono l’evoluzione dell’Ente Collegio verso la Pubblica Amministrazione Digitale. L’implementazione e la gestione dei sistemi di conservatoria digitale accreditati dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e richiesti dal CAD, richiedono elevate competenze tecnologiche e presentano costi elevati. Nella ricerca di soluzioni di semplificazione con economie di scala, la Federazione nazionale Ipasvi ha allo studio la possibilità di attivare un sistema di conservatoria digitale centralizzato dove tutti i Collegi Provinciali potranno depositare i propri documenti digitali (fascicolo digitale, registro giornaliero di protocollo, fatture elettroniche ecc.) e al quale si potrà aderire tramite un’apposita convenzione. Leggi il vademecum (http://www.ipasvi.it/attualita/dematerializzazione-al-via-per-la-federazione-e-i-collegi-ipasvi-id1976.htm)

2016-12-06T10:51:48+01:0006 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Gestione perioperatoria del paziente cardiopatico

Nel porre in evidenza il trattamento di pazienti fragili - quali sono i cardiopatici - in ambito chirurgico la prima valutazione da fare è quella relativa all’abilità prognostica dei test clinici e non invasivi di rilevare il rischio perioperatorio di eventi cardiaci in situazioni chirurgiche non cardiologiche. L’altra valutazione è conformata dall’esigenza di adattare strategie perioperatorie in grado di abbassare il rischio di mortalità e/o morbilità nei pazienti con patologie cardiologiche correlate. Équipe chirurgica durante un intervento Chirurgia, un tutto che è più della somma delle sue parti Rispettando il concetto di pensiero sistemico, la sala operatoria viene considerata un sistema complesso. Cosa vuol dire “sistema complesso” (/index.php?option=com_content&view=article&id=30463&catid=155&Itemid=1001)? Significa che l’interazione e l’interconnessione fra le parti che determinano il tutto produce l’emergenza, ovvero il prodotto scaturito dall’interagire delle parti, che prese singolarmente non determinerebbero tale risultato. Per questo si è soliti dire che il tutto è più della somma delle sue parti. Accettata questa logica si deve riflettere sulle condizioni che determinano il mondo sala operatoria. Negli ultimi 30 anni la tecnologia ha radicalmente mutato l’attività di sala. Si pensi a tutte le tecniche chirurgiche eseguite in Video-laparo-scopia. Le colonne video, gli strumenti come prolungamento delle mani del chirurgo, ecc. Ma la tecnologia è solo uno degli aspetti relativi alla determinazione della sala operatoria come mondo “complesso”. Altro determinante è il fattore umano (/index.php?option=com_content&view=article&id=41796&catid=151&Itemid=1001), inteso come elemento fondante la capacità di sviluppare buoni out come o meno. Fra le altre condizioni influenti non si può non prendere in considerazione l’aumento della vita media delle persone. Questa condizione, probabilmente conseguenza di un miglioramento di stile di vita, condizioni ambientali, lavorative, alimentari, ecc. ha determinato la necessità di provvedere chirurgicamente ad alcune patologie un tempo ignote o considerate non curabili. Si prendano ad esempio le fratture di femore (/index.php?option=com_content&view=article&id=30441&catid=126&Itemid=1001). Sino ad alcuni decenni fa una persona over 80 con frattura di femore veniva considerata non operabile, o nella migliore delle ipotesi operabile, ma con prognosi assolutamente infausta. Oggi il miglioramento delle tecniche chirurgiche, dei materiali impiantabili e della farmaceutica rende possibile intervenire in casi che una volta venivano considerati disperati. Un passo indietro. L’aumento dell’età media ha sì prodotto un allungamento della vita, ma ha pure, come conseguenza, corredato le persone di patologie croniche con le quali convivere. Gestione dei pazienti cardiopatici in ambito chirurgico Si è posta la necessità di standardizzare la valutazione pre-operatoria dei pazienti cardiopatici da sottoporre a trattamento chirurgico, evidentemente non cardiologico. Ci viene in aiuto, come accennato poco sopra, la tecnologia. Non solo interventistica, ma anche diagnostica. La valutazione da fare è quella relativa all’abilità prognostica dei test clinici e non invasivi di rilevare il rischio perioperatorio di eventi cardiaci in situazioni chirurgiche non cardiologiche. L’altra valutazione è conformata dall’esigenza di adattare strategie perioperatorie in grado di abbassare il rischio di mortalità e/o morbilità nei pazienti con patologie cardiologiche correlate. Cardiopatie ischemiche Nel paziente con cardiopatia ischemica, l’esistenza di una stenosi coronarica fa sì che il miocardio si trovi nelle condizioni in cui l’ossigeno disponibile risulti inferiore ai bisogni metabolici, ovvero al consumo necessario. Ne consegue che in sede operatoria e postoperatoria questa condizione può condurre il Paziente verso un ulteriore sbilanciamento della criticità. Tale condizione può aumentare il rischio di complicanze nel periodo peri-operatorio. Ad esempio un infarto acuto, avvenuto nel corso dei 30 giorni precedenti l’intervento, pone l’operando in una condizione di maggior rischio rispetto a chi ha sofferto la stessa patologia nel periodo di 5–8 settimane precedenti l’intervento o a chi ha subito la stessa patologia oltre i 2 mesi precedenti. Altra criticità è quella che si può verificare nei pazienti ischemici e diabetici con alterazione o compromissione del sistema nervoso autonomo, sistema parasimpatico cardiaco. In certi frangenti l’ischemia può risultare silente, non riconosciuta dalla persona, innalzando, così, il livello di rischio peri-operatorio. Anche l’angina instabile può alterare la percezione del danno e quindi aumentare le possibilità di IMA. Cardiopatie valvolari Tra le cardiopatie valvolari le stenosi sono le più pericolose. Una particolare attenzione merita la stenosi aortica. L’ostruzione all’eiezione ventricolare e l’ischemia miocardica, per scarsa perfusione coronarica, possono condurre ad arresto cardiocircolatorio, refrattario alle più comuni manovre di rianimazione cardiopolmonare. Nella stenosi mitralica l’ipertensione del circolo polmonare rappresenta l’alterazione fisiologica maggiore. In caso di insufficienza aortica o mitralica a causa delle possibili bradicardie e dell’aumento delle resistenze valvolari si possono riscontrare bruschi deterioramenti dell’assetto emodinamico. La valutazione pre-operatoria Le domande essenziali che ci si deve porre sono quelle relative alla certificazione della natura del problema e alla sua reale gravità. Determinate la natura e la consistenza del problema si pone l’obbligo di valutare ed esprimere il grado di rischio a cui l’operando è soggetto. Terza e ultima cosa, si deve entrare in possesso di tutti quegli elementi atti alla pianificazione di un’adeguata strategia. Il profilo operativo deve essere in grado di fornire una valutazione adeguata alle evenienze possibili. Giocano un ruolo fondamentale, durante tutto il percorso perioperatorio, la capacità di concentrazione, di attenzione e di previsione degli stati futuri. Restando in tema di Non Technical Skill (N.T.S.) risulta fondamentale saper lavorare in gruppo (team-work). Infatti l’approccio corretto e maggiormente funzionale a questa tipologia di pazienti è quello multidisciplinare. Si pensi a tutte le figure professionali coinvolte: chirurghi, anestesisti rianimatori, cardiologi, infermieri di sala e della T.I. Un’altra N.T.S., necessaria all’espletamento di soddisfacenti performance, è la comunicazione. Saper lavorare in team richiede un certo grado di competenze non tecniche; saper comunicare in maniera adeguata risulta essere un valore aggiunto, specie in situazioni di rischio aumentato. Briefing e de-briefing, momenti indispensabili La capacità di informare e di rendere partecipe l’équipe in toto, risulta come valore aggiunto. I risultati si ottengono se tutti i componenti il Team sono consapevoli del grado di rischio che lo stato del paziente e la procedura in essere comportano (briefing). Ma eseguire un de-briefing a fine procedura, non solo aiuta a “fare squadra”, ma a “posizionare” nella memoria a lungo termine tutti quei dati necessari a far sì che non si ripetano i medesimi “errori”, le medesime situazioni che hanno, eventualmente, condizionato, in negativo, l’outcome finale. Notevole importanza rivestono l’anamnesi del paziente, l’analisi dei documenti clinici e l’esame obiettivo. Gli esami di base valutati devono essere: E.C.G., referto radiologico del torace e bilancio ematochimico. Naturalmente, se la valutazione del grado di rischio attraverso queste determinanti risulta insufficiente, si rendono necessarie altre indagini. Sostanzialmente i pazienti possono essere raggruppati in 3 categorie: fattori di rischio maggiori: sindromi coronariche instabili, infarto miocardico acuto (<30 giorni), insufficienza cardiaca scompensata, valvulopatia grave, aritmie gravi; fattori di rischio intermedi angina stabile, infarto miocardico pregresso, insufficienza cardiaca compensata, diabete mellito; fattori di rischio minori: età avanzata, ECG anormale, ridotta capacità funzionale, pregresso infarto cerebrale, ipertensione arteriosa non controllata o non trattata. A propria volta gli interventi chirurgici possono essere classificati come: ad alto rischio (classe a): interventi maggiori in urgenza, specie nell’anziano; interventi di chirurgia aortica e vascolare arteriosa periferica; procedure chirurgiche prolungate; a rischio intermedio (classe b): interventi di tromboendoarterectomia carotidea, interventi di chirurgia toracica e addominale, interventi chirurgici della testa e del collo, procedure ortopediche, interventi chirurgici della prostata; a rischio basso (classe c): procedure endoscopiche, procedure chirurgiche di superficie, intervento di cataratta, chirurgia della mammella. Identificati in ciascun paziente i fattori di rischio cardiovascolare e il rischio di complicanze cardiovascolari in relazione alla procedura chirurgica, le indicazioni fornite dall’AHA/ACC (The American Hospital Association Certification Center) si possono schematicamente riassumere come segue: i pazienti con fattori di rischio maggiori necessitano di una valutazione cardiologica immediata che condurrà, nella maggior parte dei casi, ad una rivascolarizzazione miocardica o ad una chirurgia valvolare o ad una modificazione della terapia medica in atto, a prescindere dalla natura dell’intervento chirurgico proposto e purché questo non rivesta carattere di emergenza; i pazienti con fattori di rischio intermedi possono essere sottoposti ad intervento chirurgico di elezione senza indagini supplementari se la loro riserva funzionale è almeno moderata e l’intervento proposto è a rischio basso o intermedio. Qualora l’intervento sia a rischio elevato - e comunque quando la capacità funzionale è scarsa - è necessaria una valutazione cardiologica; i pazienti con fattori di rischio minori possono essere sottoposti ad intervento chirurgico di elezione senza indagini supplementari, qualsiasi sia la natura dell’intervento programmato, se la loro riserva funzionale è almeno moderata e, in caso di scarsa capacità funzionale, se la chirurgia è a rischio basso o intermedio. In caso di chirurgia ad alto rischio e di scarsa capacità funzionale, è necessaria una valutazione cardiologica; in ogni paziente una particolare cura va posta nell’individuazione e nell’ottimizzazione di quelle patologie non cardiache che aggravano il rischio cardiaco e operatorio, vale a dire l’anemia, la malattia polmonare cronica, l’epatopatia avanzata e l’insufficienza renale. Gestione farmacologica nel perioperatorio del cardiopatico Le terapie assunte dai soggetti cardiopatici sono spesso multiple, alcune conservative altre migliorative. Sarebbe opportuno trattare tutti i farmaci riguardanti questo tipo di pazienti. Si potrebbe scrivere un libro in merito. Detto ciò, risulta evidente come non sia possibile non porre neanche un cenno alle terapie con farmaci attivi sull’emostasi. La maggioranza dei pazienti coronaropatici è in terapia antiaggregante, generalmente con acido acetilsalicilico a basse dosi o ticlopidina, più raramente con dipiridamolo, indobufene o picotamide monoidrato. Naturalmente vanno inclusi i farmaci di ultima generazione. Come per i β bloccanti, anche l’acido acetilsalicilico va continuato nel perioperatorio in quanto il suo impiego è associato ad una minore incidenza di ischemia miocardica in assenza di un sostanziale aumento del sanguinamento chirurgico. La Società Francese di Anestesia e Rianimazione riporta che nei pazienti in trattamento con ASA per patologia coronarica o cerebrovascolare, l’Acido acetilsalicilico non dovrebbe essere sospeso nel periodo perioperatorio, a meno che il rischio delle complicanze emorragiche sia superiore al rischio trombotico cardiovascolare derivante dalla sospensione dell’ASA. La Società Europea di Cardiologia/Società Europea di Anestesiologia (2009) riporta che l’Aspirina dovrebbe essere sospesa solo nei casi in cui il rischio emorragico superi il potenziale beneficio cardiaco (…) la sospensione dell’Aspirina dovrebbe essere considerata solo nei pazienti in cui l’emostasi è difficile da controllare durante la chirurgia. Malauguratamente, anche bassi dosaggi di aspirina possono causare gastropatia erosiva, il che giustifica la pratica di istituire una gastroprotezione farmacologica sistematica in tutti i pazienti in terapia antiaggregante con aspirina, indipendentemente da ogni contesto perioperatorio. Durante il periodo perioperatorio, che rappresenta una causa indipendente di stress per l’organismo, l’impiego di gastroprotettori - raccomandato in linea generale - è da ritenersi necessario nei soggetti in terapia con salicilati. La ticlopidina è l’antiaggregante di scelta nei pazienti intolleranti e/o allergici all’aspirina. L’effetto antiaggregante persiste per oltre 8 giorni dopo l’interruzione del farmaco. A tutt’oggi, la gestione della terapia con ticlopidina nel periodo perioperatorio non è codificata. Per una chirurgia elettiva, sembrerebbe prudente sospendere la terapia con ticlopidina. Per procedure d’urgenza, rimane dubbia l’efficacia della terapia steroidea e di desmopressina; nel caso di rischio emorragico rilevante, probabilmente è preferibile la trasfusione di concentrati piastrinici. La gestione perioperatoria della terapia anticoagulante è estremamente difficile per la complessità intrinseca della materia e per la contemporanea esigenza di: effettuare l’atto chirurgico in presenza di un assetto coagulativo quasi normalizzato, per limitare il rischio di complicanze emorragiche da eccessiva anticoagulazione (in corso di intervento o nell’immediato post-operatorio); limitare al minimo necessario il periodo con assetto coagulativo ai limiti della norma per evitare l’insorgenza di complicanze tromboemboliche. È convinzione che una gestione ottimale della terapia anticoagulante nel periodo perioperatorio sia uno degli elementi centrali nell’assistenza al malato cardiopatico. Un approccio razionale alla gestione della terapia anticoagulante, che può essere opportuno e preferibile concordare — a seconda delle diverse realtà operative — con specialisti nel campo dell’emostasi, deve tener conto: dei fattori che motivano la necessità dell’anticoagulazione nel singolo paziente , dell’atto chirurgico cui il paziente deve essere sottoposto, del rischio relativo di tromboembolia e di sanguinamento rispettivamente in corso di anticoagulazione perioperatoria subottimale e completa, degli strumenti di cui il medico dispone per modificare l’assetto coagulativo in relazione con lo specifico contesto clinico. L’impiego dell’eparina viene limitato a brevi periodi di trattamento, mentre la terapia anticoagulante cronica è basata sulla somministrazione per via orale di dicumarolici o farmaci di ultima generazione. Territorio e continuità assistenziale La gestione delle varie terapie farmacologiche che assume un paziente cardiopatico richiede una certa consapevolezza sia da parte della persona sottoposta a trattamento, che da parte del personale sanitario. Otre al percorso terapeutico i pazienti considerati a maggior rischio devono perseguire comportamenti virtuosi, efficaci e propedeutici se non alla guarigione almeno al mantenimento dello “status quo” in atto. La gestione della fase peri-operatoria è compito anche delle strutture extra-ospedaliere. Il territorio, o terzo settore, riveste un’importanza fondamentale nelle due fasi a cavallo della procedura chirurgica. Il pre operatorio e il post. La presa in carico dell’operando da parte del medico di base e dell’infermiere sul territorio ha una valenza notevole; un buon percorso terapeutico e propedeutico alla procedura chirurgica contribuisce ad un soddisfacente outcome. Alla medesima maniera non si può non fare cenno al postoperatorio dei pazienti cardiopatici gravi o meno gravi, ma sottoposti a procedure chirurgiche importanti. La dimissione precoce dall’ospedale ha creato le esigenze relative ad un adeguamento delle strutture riguardanti il territorio. Anche qui medici di base e infermieri giocano un ruolo determinante. Ne consegue che per assolvere a queste esigenze si debba sviluppare il cosiddetto terzo settore, attraverso politiche che conducano all’integrazione tra strutture ospedaliere e territorio, tra le varie figure professionali esercitanti nei diversi ambiti. Certi di non essere stati esaustivi (è possibile, ad esempio, che nuove molecole di sintesi si siano aggiunte a quelle menzionate), rimandiamo in letteratura alle linee guida SIAARTI da cui è stata tratta una parte dei dati espressi nell’articolo.

2016-12-05T07:12:07+01:0005 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Dove sta andando il Sistema Sanitario Nazionale?

È una domanda difficile cui rispondere per chiunque, ma per un medico che come me ha sempre svolto il lavoro di clinico, impossibile. Dentro gli ospedali italiani, i medici clinici le decisioni organizzative per lo più le subiscono. Il gap tra carenza di risorse e buoni standard assistenziali è colmato dal lavoro e dalla collaborazione dei professionisti sanitari Riflessioni di un medico sul sistema Sanità Qualche giorno fa, al forum sul risk management in sanità, qualche risposta l'ho avuta, ed è venuta dagli interventi del presidente del CREA sanità, Federico Spandonaro e da quello dell'ISS, Walter Ricciardi. Intanto la spinta al cambiamento è stata economica. Dieci anni fa il SSN aveva un debito di 30 mld su poco meno di 110 mld, che era quello che gli italiani spendevano per il loro SSN. Risparmiare era l'unico modo per difendere il SSN, che voleva dire in sostanza mantenere le cure gratis per tutti. Dopo 10 anni di riforme il debito si è ridotto a 1 mld, tutto concentrato sulle solite regioni: Lazio, Campania, Calabria, Sicilia. In pratica la Sanità è stato l'unico settore in cui la spending review è stata realmente applicata. Ma cosa ha reso possibile un tale risultato? Soprattutto il federalismo. Prima della riforma, le Regioni sforavano sistematicamente il budget e lo stato pagava la differenza. Come un padre che paga i debiti di un figlio poco responsabile. Poi alle Regioni è stato dato l'onere e l'onore di gestire anche economicamente il proprio servizio sanitario. Da quel momento il padre non avrebbe più coperto i loro debiti. Se non avessero attuato politiche di risparmio sarebbe scattato prima il piano di rientro e poi il commissariamento, che implica il trasferimento dei poteri dalla Regione al Ministero della Salute. Secondo: l'aumento delle tasse regionali agli abitanti delle regioni in piano di rientro, tasse destinate a colmare il disavanzo della sanità regionale. Ironia della sorte: chi paga di più è anche chi più di frequente va a farsi curare in altre regioni, quelle più virtuose per qualità dell’offerta sanitaria. Terzo: il blocco del turn over del personale sanitario. Pochi lo dicono, ma siamo noi, i professionisti sanitari, ad esserci assunti l'onere - in questo caso senza onore - di mantenere un elevato standard assistenziale con una drastica riduzione del personale Li ho sentiti gli assessori alla Sanità e i direttori generali vantarsi di aver mantenuto la qualità del servizio risparmiando il 36% in media rispetto agli altri paesi occidentali. Mi permetto di osservare come il gap fra carenza di risorse e buoni standard lo abbiamo colmato noi con ritmi di lavoro da catena di montaggio e – diciamolo - con un sostanziale peggioramento del nostro benessere lavorativo. Ma fino a quando nessuno ci chiede come stiamo o noi non denunciamo il nostro disagio, queste cose non si sanno. Quarto: l'aumento del ricorso a prestazioni sanitarie private. Quinto: la riduzione dei posti letto ospedalieri agli attuali 3,7/1000 abitanti. Il risultato è stato l'aumento delle diseguaglianze tra prestazioni sanitarie fornite al nord, dove si concentra la quasi totalità delle regioni virtuose, e il sud, dove le regioni ora spendono fino a 1000 euro/anno in meno per cittadino rispetto alle regioni del nord per recuperare un debito decennale e forniscono un servizio non degno di un paese occidentale. Ma il punto è che tutti questi sacrifici non basteranno. Infatti se continueremo a crescere dello 0,5% all'anno versus il 3 e rotti per cento degli altri paesi occidentali non riusciremo a difendere il nostro SSN. In termini tecnici, il SSN a breve non sarà più sostenibile La quota destinata al fondo sanitario, infatti, non è fissa, ma costituita da una percentuale del PIL, intorno al 7%. Va da sé che un PIL basso non può sostenere un servizio all'altezza degli standard moderni. Ecco allora la decisione di decentrare dall'ospedale al territorio la gestione del paziente cronico, che rappresenta il destinatario dell'80% della spesa sanitaria. Le case della salute e gli ospedali di comunità ne sono un esempio. Un altro è il potenziamento della domiciliazione. Ed è così che in Calabria è stato possibile sperimentare il primo progetto italiano di gestione domiciliare di pazienti ad elevata complessità assistenziale come quelli in stato di coma vegetativo. Il progetto, finanziato dal Ministero della Salute, si chiama progetto Omeron. La gestione del paziente è affidata a un familiare che viene addestrato nel contesto della lungodegenza prima della dimissione, familiare che percepisce un’indennità di circa 500 euro al mese, con il supporto di un’assistenza domiciliare infermieristica di 2 ore al giorno per 6 giorni alla settimana e di consulenze telematiche medica e fisioterapica. Si tratterà ora di verificare nel tempo se queste misure si tradurranno in una effettiva riduzione del carico assistenziale degli ospedali, che dovrebbero diventare luoghi di diagnosi e cura destinati ai soli pazienti acuti, lasciando gran parte della gestione del paziente cronico ai servizi territoriali, meno costosi.

2016-12-04T07:21:58+01:0004 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Rinnovo contratto pubblico impiego: gli effetti concreti dell’accordo

Finalmente, il 30 novembre scorso, a Roma è stato firmato l’accordo tra governo e sindacati sul lavoro pubblico, che nelle prime righe cita: I lavoratori sono il motore del buon funzionamento della pubblica amministrazione: da loro, dall’organizzazione del lavoro, nonché dall’organizzazione delle singole amministrazioni, dipendono principalmente i tempi di risposta e la qualità dei servizi che vengono offerti ai cittadini e alle imprese. Personale sanitario Accordo rinnovo contratto pubblico Da anni le organizzazioni sindacali e gli stessi lavoratori richiedevano a gran voce un rinnovo del contratto di lavoro, che prevedesse un aggiornamento della normativa, nonché aumenti salariali al passo con l’aumento del costo della vita del cittadino. Il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) è il documento che disciplina i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Comprende le norme, i regolamenti, la suddivisione in categorie all’interno dello stesso gruppo di lavoratori, nonché gli stipendi tabellari, suddivisi per categoria economica e fascia retributiva. Ma andiamo a vedere nello specifico cosa prevede l’accordo firmato a Roma (/index.php?option=com_content&view=article&id=44555&catid=136&Itemid=1001). Valorizzazione delle competenze. Uno degli obiettivi primari è quello di individuare sistemi di valutazione per valorizzare adeguatamente la professionalità e le competenze, mettendo in luce il diverso impegno del lavoratore all’interno dell’organizzazione. Miglioramento delle condizioni di lavoro. Un secondo obiettivo è quello di individuare le misure che possano migliorare le condizioni di lavoro, al fine di soddisfare le esigenze dei cittadini, migliorare la qualità dei servizi e i tempi di erogazione. Sarà previsto un monitoraggio periodico, al fine di misurare, attraverso degli indicatori, l’efficacia delle prestazioni delle amministrazioni e la produttività collettiva. Miglioramento degli esiti. Migliorare l’efficienza e l’efficacia lavorativa, per poter costruire un ambiente organizzativo che soddisfi lavoratori e cittadini, che monitorizzi le carenze e le necessità dell’organizzazione, al fine di evitare lo spreco di risorse, ridurre il precariato e permettere una migliore conciliazione vita–lavoro e la flessibilità oraria. Fondi economici destinati al lavoratore. Per quanto riguarda l’aspetto economico dell’accordo, il Governo si impegna ad utilizzare parte delle risorse previste per la legge di bilancio del 2017, per il rinnovo dei contratti: questo permetterà di ottenere aumenti contrattuali non inferiori agli € 85 mensili medi. Tutto questo, con un occhio di riguardo verso i livelli retributivi che hanno maggiormente risentito della crisi economica e del blocco della contrattazione negli ultimi anni. Precariato. Non da ultimo, il Governo si impegna ad assicurare il rinnovo dei contratti precari in prossima scadenza, in vista di una regolamentazione definitiva che verrà inserita nella riforma del testo unico del pubblico impiego. Un primo passo per una grande possibilità, che ci auguriamo sia in grado di migliorare le condizioni dei lavoratori. Il giusto riconoscimento per tutti gli infermieri, OSS e tecnici che ogni giorno mettono anima e corpo nel loro lavoro.

2016-12-03T07:00:26+01:0003 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Fatti di Saronno, Ipasvi Como: "subito controlli rigorosi"

Il Collegio Ipasvi di Como, al quale è iscritta l'infermiera indagata per omicidio volontario, espone la propria posizione sulla vicenda. Ospedale di Saronno (dal web) "Subito controlli rigorosi a tutela dei cittadini e dei professionisti" I fatti accaduti a Varese (/index.php?option=com_content&view=article&id=44542&catid=136&Itemid=1001), con le indagini in corso per accertare le responsabilità nei decessi per i quali un medico anestesista dell'ospedale di Saronno (Varese) è stato arrestato con l’accusa di omicidio plurimo tra cui si ipotizza perfino quello del padre e quello del marito della sua amante, un'infermiera iscritta al nostro Collegio che deve rispondere anche lei di complicità nel delitto avvenuto il 30 giugno 2013, dimostrano che è ora di scrivere la parola fine sulla mancanza di controlli seri e strutturati. Ma anche al silenzio e all’omertà di chi assiste a episodi che vanno subito denunciati e bloccati prima che assumano toni e caratteristiche di vera follia, soprattutto dopo che gli inquirenti hanno reso noti una serie di particolari e le intercettazioni ambientali. Come ha dichiarato la stessa ministra Beatrice Lorenzin è fuori dall'immaginazione che possano accadere cose del genere in un ospedale. I Collegi e la Federazione nazionale degli infermieri da tempo chiedono che i controlli non siano lasciati all’audit professionale e alla buona volontà di singoli amministratori, ma vengano strutturati e resi omogenei e obbligatori in tutte le strutture del territorio nazionale. La nostra professione dà il massimo in questo senso: è grazie alle denunce proprio di altri infermieri e di operatori sanitari che i fatti sono venuti alla luce. Troppo tardi purtroppo. Il fatto di coinvolgere per l’ennesima volta l’immagine degli infermieri con qualcosa e qualcuno che dell’infermiere non ha davvero nulla, pone con forza la necessità di difendere il decoro e la dignità della professione. Siamo pronti ad agire di conseguenza dal punto di vista disciplinare, è ovvio, ma ancora una volta la cronaca mette l’accento comunque sulla mancanza di controlli sia preventivi che di argine a fatti su cui spesso si fa finta di non vedere. È ora di dire con forza basta! Episodi del genere provocano raccapriccio soprattutto in chi la salute e la vita la tutela e lotta ogni giorno perché nessuno la perda. Non si riesce nemmeno a immaginare che persone a cui i pazienti hanno dato la loro fiducia, possano ripagarla così Fatti del genere, va ribadito, non sono ascrivibili a una professione, ma fanno parte dello status mentale del singolo individuo. Servono controlli maggiori, regolari e continui, qualunque essi siano: non si può e non si deve arrivare a questo. E la professione deve fare in modo che siano immediatamente evidenziati simili episodi, che possano essere evitati per non creare evidenti situazioni di pericolo per i pazienti e gravi danni all’immagine, alla professionalità e alla figura dell’infermiere. E non solo. La Sanità ha bisogno di fiducia per tutelare la salute e salvare vite, non le toglie! Per questo non vogliamo che la nostra professionalità sia associata a situazioni e persone che con essa non hanno davvero nulla a che fare. Anzi, che ne sono l’esatto opposto: l’infermiere assiste e difende il malato, non uccide né partecipa per propri fini agli atti di chi lo fa. E in questo senso applicheremo con il massimo rigore le relative misure disciplinari che si renderanno necessarie a tutela della dignità professionale e dell’immagine di tutti gli Infermieri che ogni giorno operano con senso di responsabilità e spirito di abnegazione in rispetto del Codice Deontologico. A partire dalla sospensione dall’attività professionale, fino, una volta emessa la sentenza, all’eventuale radiazione dall’Albo per chi compie o si rende complice di atti che con la nostra professione non hanno nulla a che fare. Oreste Ronchetti - Presidente Collegio Ipasvi di Como

2016-12-02T09:50:06+01:0002 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Giornata mondiale contro l’Aids: l’importanza dello screening

Il 1° dicembre ricorre la Giornata mondiale di lotta contro l’Aids, istituita per la prima volta nel 1988 per volontà dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il fiocco rosso, simbolo della lotta all'Aids Campagne di prevenzione e auto-screening Mentre in Italia sono 3.444 le nuove diagnosi di infezione da HIV registrate nel 2015, la 28° Giornata mondiale dedicata alla lotta a questa malattia si presenta come l'occasione giusta per fare il punto sulla patologia e per educare i cittadini. A partire da oggi, 1 dicembre 2016, sarà introdotto in diverse farmacie nazionali il test fai-da-te che consentirà a chiunque - in modo autonomo - di scoprire se si è sieropositivi o no. Il test costerà circa 20 euro e sarà acquistabile senza ricetta da cittadini maggiorenni. Il test, di utilizzo estremamente semplice, con una piccola puntura ad un polpastrello consentirà di ottenere un risultato attendibile quasi al 100% nel giro di poco più di un quarto d'ora. Prima di fare il test è però fondamentale osservare il cosiddetto "intervallo finestra": quel lasso di tempo (90 giorni per il test capillare) che intercorre tra il momento del presunto contagio e la produzione di anticorpi che segnalano la presenza del virus. La casa farmaceutica produttrice del test sottolinea che la diagnosi dovrà comunque essere confermata da successive analisi di laboratorio. Il dispositivo per l'autodiagnosi non sostituirà in alcun modo i test, gratuiti e anonimi, offerti attualmente dal Servizio sanitario nazionale Nel corso della presentazione alla Camera è stato più volte precisato che il test fai-da-te è stato introdotto per far emergere il sommerso delle diagnosi tardive da Hiv - favorendo la diminuzione del rischio collettivo - e che non si sostituisce alle analisi di laboratorio. L'Italia è il secondo paese europeo, dopo la Francia, ad introdurre l'autotest per la diagnosi precoce, iniziativa condivisa anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che raccomanda l'autotest come strumento per contribuire a rendere consapevoli del loro stato almeno il 90% delle persone con Hiv entro il 2020. HIV, la situazione Nel mondo: circa 37 milioni di persone vivevano con l'HIV nel 2015; 18,2 milioni di persone con HIV ricevono terapia antiretrovirale nel 2016; 1,1 milioni di persone sono morte per cause correlate all'HIV in tutto il mondo nel 2015. In Italia: secondo l'Istituto Superiore di Sanità le nuove diagnosi sono 4mila l'anno; nel 2015 i soggetti a scoprire di essere sieropositivi erano maschi nel 77,4%; l'incidenza più alta è tra le persone di 25-29 anni; la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione è attribuita a rapporti sessuali non protetti; si calcolano circa 130mila sieropositivi ai quali si aggiungono un 20% di "inconsapevoli"; il 60% delle diagnosi avviene con malattia in stato avanzato. Il futuro: In Sudafrica sarà presto testato un vaccino sperimentale contro l'AIDS: per 4 anni oltre 5400 volontari parteciperanno allo studio HTVN 702 per verificare l'efficacia del vaccino; Prevenzione e terapia antiretrovirale restano le armi più efficaci per arginare la contaminazione. Riflettori puntati sulla lotta all’AIDS Per sensibilizzare la popolazione sul tema dell’AIDS il Ministero della salute, in occasione della Giornata Mondiale 2016, ha deciso di rendere concretamente visibile il messaggio di prevenzione attraverso l’illuminazione della facciata della sua sede di lungotevere Ripa a Trastevere. Nelle giornate del 30 novembre e 1 dicembre la scritta STOP AIDS caratterizzerà la facciata laterale e contemporaneamente un display luminoso posto sopra l’entrata principale visualizzerà dati epidemiologici e messaggi di prevenzione su AIDS e HIV insieme al logo della giornata e al fiocco rosso simbolo della lotta all'Aids: Stop Aids Nel mondo 36,7 milioni di persone con HIV In Italia 3.444 nuove diagnosi di infezione da HIV nel 2015 Non abbassare la guardia! Fai il test Numero verde AIDS e infezioni sessualmente trasmesse 800861061 Info su salute.gov.it (http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?lingua=italiano&tema=Prevenzione&area=aids) - uniticontrolaids.it (http://www.uniticontrolaids.it/)

2016-12-01T09:26:25+01:0001 Dicembre 2016|Nurse24.it|

Avviso pubblico infermieri, 10 posti per un anno a Milano

Avviso pubblico per la stipula di 10 contratti individuali di lavoro a tempo determinato, per la durata di 12 mesi, per C.P.S. Infermiere - cat. D. Concorso Avviso pubblico Infermieri A seguito della deliberazione 1065 del 23/11/2016 è indetto avviso pubblico per la stipula di 10 contratti individuali di lavoro a tempo determinato, per la durata di 12 mesi, per C.P.S. Infermiere - cat. D. La ASST Fatebenefratelli Sacco si riserva, quale facoltà insindcabile, di assegnare i candidati vincitori dell'avviso pubblico alle seguenti strutture ospedaliere: Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico; Ospedale Luigi sacco Ospedale dei bambini Vittore Buzzi Clinica Macedonio Melloni senza che nessun candidato possa vantare alcun diritto. Titolo: ASST Fatebenefratelli Sacco, 2016 Tipologia: Determinato (12 mesi) Data pubblicazione: 28/11/2016 Data Scadenza: 14/12/2016 Status: pubblicato in Gazzetta Regionale Allegati: ASST Fatebenefratelli Sacco (http://www.asst-fbf-sacco.it/) Preparati alle prove concorsuali Per una preparazione efficace alle prove concorsuali consigliamo il Kit per i concorsi infermieri Edises. Il kit comprende: il manuale teorico e i test dei concorsi per infermieri; in omaggio il video corso di tecniche infermieristiche, l’ebook sulla legislazione regionale in materia sanitarie e il software per effettuare infinite esercitazioni.

2016-11-30T10:12:21+01:0030 Novembre 2016|Nurse24.it|

Giulia Grillo, le ragioni del no al referendum costituzionale

Manca meno di una settimana al voto sul referendum costituzionale. La scelta tra il Sì e il No è destinata ad impattare sensibilmente anche sul mondo della Sanità. A spiegare le ragioni del no è Giulia Grillo, capogruppo M5S in commissione Sanità e Affari Sociali della Camera. Giulia Grillo M5S Le ragioni del no secondo Giulia Grillo Domenica 4 dicembre 2016 gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale che sta scuotendo l’Italia. Giulia Grillo, capogruppo M5S in commissione Sanità e Affari Sociali della Camera, laureata in Medicina e Chirurgia con specializzazione in medicina legale, è fermamente convinta La riforma del titolo V° avvenuta nel 2001, asserisce Grillo, ha dato vita ad una guerra in tribunale tra Regioni e Stato. Le Regioni impugnavano le leggi dello Stato e lo Stato impugnava le leggi delle Regioni. Il fronte del sì sostiene che con la nuova riforma questo contenzioso calerà, ma in realtà questa riforma elimina le materie concorrenti - che non sono quelle che hanno determinato i contenziosi o le paralisi burocratiche che effettivamente ci sono state - e aumenta le materie esclusive dello Stato, argomento - loro sì - della maggior parte del contenzioso Finanziamenti, rispetto delle scadenze nella formulazione delle Leggi e loro attuazione a livello regionale sono i fattori che incidono realmente sul sistema Sanità, “che, per quanto riguarda la vita e la percezione dei cittadini” continua Grillo, “non viene minimamente toccato dalla riforma”. Quello che temiamo è che l’aumento delle materie di competenza esclusiva dello Stato - oggetto principale del contenzioso prima di questa riforma - possa gravare ulteriormente sul lavoro della Corte Costituzionale, l'organo incaricato di dirimere la questione. Chi ha detto "più farmaci per tutti" ha mentito sapendo di mentire La Grillo, riferendosi all’intervento televisivo durante il quale il premier Matteo Renzi ha affermato che con la nuova riforma del titolo V° non vi sarebbero più differenze di disponibilità di farmaci innovativi come gli oncologici da una Regione all’altra, ricorda che il prezzo dei farmaci è deciso dall’Agenzia Italiana del Farmaco, il cui presidente è nominato dal Ministro della Salute, così come lo è il direttore generale. È già una competenza centrale e se ad esempio non tutti i malati di epatite C hanno potuto accedere alle cure è perché l’agenzia del farmaco ha contrattato con le aziende un prezzo troppo alto, per cui non si sono potute soddisfare tutte le esigenze dei cittadini e lo Stato ha speso quasi due miliardi per coprire le cure di un’esigua parte di pazienti.

2016-11-29T11:44:37+01:0029 Novembre 2016|Nurse24.it|

Annalisa Silvestro, le ragioni del sì al referendum costituzionale

Manca meno di una settimana al voto sul referendum costituzionale. La scelta tra il Sì e il No è destinata ad impattare sensibilmente anche sul mondo della Sanità. A spiegare le ragioni del Sì è Annalisa Silvestro, senatrice Pd ed ex presidente della Federazione Nazionale Ipasvi. On. Annalisa Silvestro Le ragioni del Sì secondo Silvestro Domenica 4 dicembre 2016 gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale che tanto sta facendo parlare di sé e tanto sta facendo dibattere in questi ultimi mesi. Una riforma molto complessa da capire, frutto della mediazione tra le diverse anime politiche che compongono il Parlamento. Così la definisce Annalisa Silvestro, senatrice Pd e già presidente della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi. Silvestro, dopo un’attenta analisi della riforma in oggetto, si è detta a favore del sì in senso generale, perché credo che il nostro Paese debba avere il coraggio di fare un altro salto in avanti. Per quanto concerne la materia sanitaria la riforma è assolutamente positiva – afferma Silvestro – perché supera una serie di distorsioni veramente pesanti conseguenti alla modifica del titolo V° fatta illo tempore. Il Titolo V° della Costituzione, lo ricordiamo, era stato oggetto di modifica nel 2001, quando si decise di riformare l’apparato dello Stato in senso federalista affidando alle Regioni molte competenze riservate fino ad allora al Governo centrale. Un decentramento così impostato per la materia sanitaria ha portato a dei risultati negativi per la collettività nazionale”, ha ribadito Silvestro, “perché per come stanno le cose adesso la possibilità di sopravvivenza ad un problema molto serio di salute in alcune Regioni è molto più bassa rispetto ad altre realtà regionali. Credo che gli italiani abbiano la responsabilità di cambiare questo paese e gli infermieri abbiano la responsabilità di cambiare il sistema sanitario nazionale La potestà organizzativa rimarrà alle Regioni – spiega la senatrice – ma è ben vero che con la riforma costituzionale che si sta avanzando, quello che è l’interesse collettivo in termini di salute diventa preminente. Quindi il Governo centrale avrà di nuovo la possibilità di intervenire nei confronti di quelle Regioni che disattendono tutta una serie di adempimenti legati al diritto alla salute, che non può essere diversificato in base al luogo dove si nasce o dove si vive. Altro punto chiave per gli infermieri riguarda la partita del riconoscimento delle competenze specialistiche e della disomogeneità dei percorsi formativi fra regione e Regione: Il rischio è quello che ogni Regione si faccia il suo infermiere specialista, quando invece possibilità di cura e di assistenza devono essere il più possibile omogenee a livello nazionale, così come omogeneo deve essere il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze specialistiche acquisite dall’infermiere tanto a Bolzano quanto a Ragusa. La frammentazione del sistema salute così come oggi è organizzato, oltre ad essere incongruente con le normative e le indicazioni europee, rende meno fruibile l’assistenza ai cittadini, risultando in netto contrasto con il concetto di diritto alla salute.

2016-11-28T10:48:25+01:0028 Novembre 2016|Nurse24.it|

Una visione integrata, per il paziente e per il professionista

Questo il filo conduttore che ha accomunato gli interventi della tavola rotonda “I bisogni della sanità si modificano nel tempo”, organizzata nell’ambito dell’evento formativo ‘Nutrizione e lesioni, rischi e responsabilità: ieri, oggi e domani (/index.php?option=com_content&view=article&id=44509&catid=147&Itemid=1001)’ svoltosi oggi - 26 novembre - a Reggio Emilia. Duecento presente all'evento di Reggio Emilia Circa 200 i professionisti presenti: infermieri (/infermiere/infermieri.html), medici, dietisti. A riprova che il bisogno del paziente e le necessità del professionista devono essere considerate in modo multidisciplinare. E gli interventi ne hanno messo in luce le molteplici sfaccettature: progetti infermieristici di assistenza, il rapporto con il paziente e con la cittadinanza, la valutazione dei rischi e l’organizzazione delle competenze all’interno delle aziende sanitarie. Un esempio di integrazione è quello condotto dalla Dott.ssa Angela Peghetti (/index.php?option=com_content&view=article&id=42349&catid=151&Itemid=1001) affrontando il tema della disabilità correlata all’assistenza. Partendo dallo studio dei principali fattori sistemici e assistenziali che aumentano l’insorgere di situazioni di questo tipo durante il ricovero ospedaliero ha elaborato un progetto – come lo ha definito la stessa Paghetti - per sensibilizzare gli infermieri a migliorare le pratiche assistenziali. E quindi gruppi di lavoro sull’individuazione dei fattori di rischio sistemici, assistenziali e sulle principali buone pratiche da adottare. E l’insorgere di problemi connessi al ricovero ospedaliero è il cuore dell’attività di un risk manager ed è stato anche il centro dell’intervento del dottor Pietro Ragni. La parola d’ordine, dal suo punto di vista, è una: Considerare gli outcome sui pazienti e sui parenti. Perché con rischio clinico non bisogna intendere solo i possibili eventi avversi, ma bisogna considerare la sicurezza del paziente nella sua globalità. Non abbiamo solo la responsabilità di non arrecare danni di salute – ha sottolineato il dottor Ricagni - , ma di non esporre nessuna delle persone in carico a conseguenze negative. E tra queste ci sono anche i parenti. Per questo è necessario prestare attenzione a qualsiasi comportamento che si sceglie di adottare. Il verbo scegliere, con una valenza etica e morale, ha un ruolo centrale per il Dott. Luca Rossi. Per il medico fare scelte è un esercizio quotidiano – spiega Rossi – e queste possono essere individuali, di strategia clinica o di governo clinico”. Ma in tutto questo il professionista non può prescindere da etica e morale, “gli strumenti per fare la miglior scelta possibile. Un esempio di come le scelte aziendali ricadono sui professionisti è emerso dall’intervento della Dott.ssa Marina Iemmi che ha presentato il legame tra centralità del paziente e la contemporanea specializzazione e integrazione del professionista dal punto di vista di un dirigente infermieristico. Gli elementi di integrazione sono molteplici: tra ospedale e territorio, tra diversi professionisti e tra differenti competenze. Tutto per adottare – come spiega Marina Iemmi, attualmente dirigente delle professioni sanitarie all’Arcispedale Santa Maria Nuova IRCCS di Reggio Emilia – i metodi organizzativi più consoni al nostro paziente. E se il futuro punterà necessariamente sui servizi territoriali, già oggi all’interno del presidio ospedaliero occorre differenziare la formazione degli operatori. Il nostro ospedale – spiega Marina Iemmi – si caratterizza per due fabbisogni: integrazione e specializzazione. Questi elementi devono coesistere e stare insieme. La traduzione è la formazione di un professionista con particolari conoscenze che devono essere messe in rete per “la centralità del paziente”, facendo anche ricorso a figure o forme organizzative specifiche come il primary nursing (/index.php?option=com_content&view=article&id=28309&catid=150&Itemid=1001), il case manager (/index.php?option=com_content&view=article&id=29267&catid=151&Itemid=1001), l’infermiere di ricerca o quello dedicato alle cure palliative (/index.php?option=com_content&view=article&id=30358&catid=154&Itemid=1806)”. Oggi le competenze necessarie nel mondo sanitario talvolta quasi travalicano il mondo dell’assistenza: Diventa sempre più importante – dichiara il Dott. Orazio Cassiani, responsabile del servizio infermieristico tecnico e riabilitativo della casa di cura Villa Verde di Reggio Emilia – definire un connubio tra la formazione sanitaria e la capacita di fare management all’interno dell’area sanitaria. Si tratta di un’attività relegata prevalentemente al manager ma che in realtà richiede competenze specifiche di tutti i professionisti del mondo sanitario. Una necessità anche per “offrire un ventaglio di opportunità" al paziente che abbiamo l’obbligo e etico e morale di poter sostenere.

2016-11-26T16:14:34+01:0026 Novembre 2016|Nurse24.it|
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